La notte non era ancora finita.
Fuori si era sollevato il vento, e soffiava come un lamento spezzato tra i rami nudi degli alberi. Fiocchi di neve danzavano nell’aria, spinti da correnti invisibili che sibilavano contro i vetri della stanza. di cui uno con una visibile crepa che lo attraversava.
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La finestra tremava a ogni folata, come se il gelo volesse insinuarsi dentro, forzare la soglia, reclamare spazio tra le ombre.
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I suoi occhi ora brillavano nel chiarore esterno.
Non disse nulla.
Solo il silenzio denso che si posa sulle cose prima che accadano, quando ci capimmo a vicenda, dopo quanto successo.
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Con movimenti fluidi, quasi liquidi, si avvicinò al letto.
I suoi passi non fecero rumore, come se calpestasse neve fresca.
Poi mi salì a cavalcioni, il peso del suo corpo leggero, appena percettibile sulle mie gambe.
Sentii il calore di lei filtrare attraverso la stoffa sottile dei nostri vestiti, come se una brace avesse preso vita sotto la pelle.
Era un calore che stonava con l’inverno tutto intorno.
Dall’esterno, il rumore di un ramo spezzato ruppe per un attimo la quiete.
Un suono secco, come un colpo d’ascia nel legno. La natura stessa sembrava trattenere il fiato.
Si chinò su di me con lentezza studiata.
Le sue labbra sfiorarono prima la mia fronte, un tocco impalpabile.
Scese fino al mento, e lì, il mio respiro si fece più rapido, più corto, come se l’aria stessa si fosse fatta più densa da inspirare.
Infine, la bocca.
E il bacio non fu come gli altri.
Le sue labbra si aprirono sotto le mie con una lentezza esasperante, e la sua lingua esplorò ogni angolo della mia bocca come se stesse tracciando una mappa invisibile, destinata a restare per sempre.
Un morso lento, quasi affettuoso, al mio labbro inferiore mi fece gemere.
Il dolore si mescolò al piacere in un equilibrio instabile, come un lago ghiacciato pronto a cedere.
Fuori, la neve cadeva più fitta, trasformando ogni suono in ovatta.
Le luci della strada, lontane, si dissolvevano dietro la nebbia bianca.
Sentii il mondo perdere i contorni.
L’aria nella stanza sembrò addensarsi, diventando pesante, vischiosa, come se ci trovassimo immersi in un liquido caldo, in uno spazio tra gli spazi.
I pensieri si fecero sfocati, soffocati da una nebbia interna.
Provai a staccarmi, a cercare un frammento d’aria, ma le sue mani mi afferrarono i capelli con una decisione che non le conoscevo.
Non scappare.
Non lo disse. Non ce n’era bisogno. La sua voce era dentro la mia testa, netta, limpida, come acqua gelida che scivola giù per la schiena.
Le sue mani scivolarono sotto la mia maglietta. Le dita tracciarono linee di fuoco vivo sulla mia pelle. Toccò ogni costola, ogni vibrazione del mio corpo, come se stesse leggendo una storia che conosceva già.
Quando raggiunse l’elastico dei miei boxer, reagii d’istinto. Le afferrai il polso.
Elita reagì, un suono basso.
Poi mi baciò di nuovo. E ogni resistenza, ogni pensiero, si sciolse come neve toccata dal sole.
Mi spogliò lentamente, con un’attenzione rituale.
Ogni pezzo di stoffa che scivolava via era una piccola resa.
Quando rimasi completamente nudo sotto di lei, Elita si fermò.
Mi guardò come se stesse leggendo qualcosa che solo lei poteva comprendere.
I suoi occhi studiarono ogni centimetro della mia pelle, come se volesse bruciarla solo con lo sguardo.
Poi si abbassò su di me.
L’entrata fu lenta. Ogni millimetro una conquista che portava via qualcosa di me.
Ero suo, completamente. Paralizzato non dal timore, ma dall'intensità.
Non c’era più spazio per il pensiero. Solo il sentire.
Quando iniziò a muoversi, il ritmo fu ipnotico. Le sue mani, aperte, poggiate sul mio petto. I suoi occhi incollati ai miei.
Mi sentivo disgregare sotto di lei, pezzo per pezzo.
Il piacere crebbe come una marea lenta ma inevitabile.
Non si arrestò. Non si affrettò. Si espanse dentro di me finché sembrò strapparmi via qualcosa di essenziale, definitivo.
Per un istante eterno, vidi attraverso i suoi occhi.
Vidi me stesso, disteso sul letto.
Adesso siamo legati.
La sua voce, dentro la mia mente, era limpida come ghiaccio.
Poi crollò sul mio petto, il suo respiro che si spezzava nel mio, due fiati che cercavano la stessa aria.
Ci addormentammo così. Intrecciati. Due naufraghi in un oceano che non ci avrebbe mai restituiti.
Il letto non era più solo un letto.
Era un confine.
Era un patto.
E io lo seppi, con la certezza lenta e terribile della neve che cade, che nulla sarebbe mai più stato come prima.
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